Pill number 1
La maratona più attesa: più volte sono stato tentato dall'idea di parteciparvi ma sempre fattori esterni ne avevano condizionato la mia rinuncia, la guerra in Iraq e poi l'attacco alle torri gemelle con i relativi timori nell'affrontare il viaggio negli Stati Uniti. Questa volta quando mi è passata l'idea per la testa non ci ho pensato troppo ed ho fatto l'iscrizione ed organizzato il viaggio. Per poco non ci si metteva l'incazzatura del vulcano islandese a mandarmi per aria tutto il piano come è successo a diversi miei amici. Invece è andato tutto bene sia all'andata che al ritorno.
Pill number 2
La mancanza degli amici sardo-milanesi mi pone nella condizione di approdare negli States
completa solitudine armato solo di un buon senso dell'orientamento, dell'italica arte di arrangiarsi e del mio scarsissimo inglese (veramente molto scarso). In aereoporto a Trieste incontro un altro corregionale, Fulvio Babich (casualmente mio compagno di ventura anche nel viaggio del 2005 a NY) che concluderà in questo caso la sua gara con un ottimo 2.53'. Sempre in aereo incontro anche un amico podista di Castelfidardo che più volte vedo a Boston.
Pill number 3
Saturday qui a Boston non è giorno di vigilia perchè si corre il lunedì, precisamente il terzo lunedì di aprile, che coincide con il Patriots' Day, giornata festiva per i bostoniani. E' il mio primo giorno a Boston, di primo mattino, all'apertura sono tra i primi al ritiro dei pettorali presso l'
VETERANS MEMORIAL CONVENTION CENTER. Si sente l'aria del grande evento, l'organizzazione è perfetta. Consegna del numero, successiva consegna della maglia con il logo della maratona (tecnica a manica lunga dello sponsor Adidas), ingresso nell'Expo vero e proprio. Qui c'è da perdersi tra innumerevoli stands ed un'area immensa dedicata ad oggetti ricordo della manifestazione acquistabili a prezzi accessibili, ce n'è di tutti i costi e per tutti i gusti. Non mi lascio perdere l'occasione per accaparrarmi un pantaloncino corto e la giacca.
Il resto della giornata scorre nella visita della città ed in particolare della zona d'arrivo, d'obbligo visita con foto alla finish line. Torno in ostello distrutto.
Pill number 4
vigilia mi impongo di non strafare: visita al Fine Art Museum, poi alla Harvard University... Lascio ogni velleità di fare il solito carico di carboidrati con pasta come si dovrebbe e mi limito ad un'ampia razione di pizza (neanche tanto male). Rientro in ostello presto ma anche in questa giornata non mi sono risparmiato, preparo la sacca in vista di una partenza antelucana.
Pill number 5
Ultime ore prima dello start. Partenza dall'ostello alle 5.15 in compagnia di un
sconosciuto, per fortuna un autobus in ritardo ci permette di risparmiare qualche km, in metropolitana la truppa si infoltisce. Giunti nella zona di ritrovo dei pulmini che ci porteranno a Hopkinton la folla non è tantissima, le luci dell'alba fanno da corona, il cielo sembra terso dopo due giorni di pioggia, tira un po' di vento che in TV hanno annunciato spirerà al nostro fianco per tutto il tragitto ma non in faccia e questo è già un buon segno, fa fresco. D'obbligo un foto. E' incredibile come siano organizzati: ci sono centinaia di autobus incolonnati, veniamo fatti salire, tutti usufruiamo di posto a sedere per questo lungo trasferimento. Riflessione d'obbligo: esattamente come succede alla VeniceMarathon, o alla Treviso Marathon, naturalmente si fa per dire). Si parte incolonnati alla volta del piccolo paese di Hopkinton, sembra un tragitto interminabile, attraversiamo continuamente boschi, è un continuo saliscendi, siamo in autostrada, ma se tanto mi dà tanto non si tratta di un percorso scorrevole. Ci scaricano e ci avviamo nella zona di ritrovo dove trascorreremo queste 3 ore che ci separano dalla partenza; ci sono generi alimentari per una colazione spartana, manca qualcosa di caldo se non un "pallido
caffè".
Ognuno cerca di ripararsi dal freddo come riesce, per fortuna un sole benevolo ci degna della sua presenza anche se è sfidato da folate di vento molto fastidioso.
La fila di servizi mobili (chiamateli WC o come volete) è lunghissima ed ordinatamente affrontiamo questa incombenza quanto mai necessaria in queste condizioni di sveglia molto anticipata.
Pill number 6
Avvicinamento alla zona della Start Line.
E' tutto perfettamente organizzato, ci saranno due distinte partenze, i numeri blu dall'1 al 13000 e poi i gialli dal 13001 al 27000. Qui a Boston (a parte i primi) vale esclusivamente il tempo netto.
Raggiungere la zona di partenza è una strada lunga, prima si deposita il bagaglio negli stessi pulmini che ci hanno accompagnato anche qui molto ben segnalati e organizzati (anche in questo caso si potrebbe fare la battuta come succede nella maggior parte delle maratone italiane, ricordo le scene apocalittiche di Venezia di qualche anno fa). Ci si avvia, gli atleti sono suddivisi in corrals, i primi di 1000 in 1000 poi gruppi più ampi, c'è controllo ma anche molta autoregolamentazione (ulteriore confronto con le gabbie da animali necessarie per contenere l'irruenza dei podisti italiani, e qui gli esempi si potrebbero sprecare).
Pill number 7
Uno sparo molto discreto libera le energie, si va subito in discesa, un foltissimo pubblico ci incita, scorriamo in strade relativamente strette, i bambini sono seduti sul prato del proprio giardino. Le maglie sono multicolori, si sente che la maggior parte sono americani, la gran parte statunitensi. La Boston Marathon è la più antica al mondo, è giunta alla 114esima edizione, non è popolare come la NYC Marathon ma sicuramente è la più ambita dagli americani. Con un esempio un po' strano mentre NY è popolare questa è aristocratica, con un'aggiunta, la selezione per l'iscrizione alla Boston Marathon è severa, almeno metà dei "niuiorchesi" qui non avrebbero titolo di partecipazione.
Una nota molto interessante oltre 11000 sono donne circa il 40% del totale, numeri impensabili in Italia.
Pill number 8
La mia gara.
Indecisione fino a poche ore dalla partenza sul ritmo da tenere. Proverò un timido tentativo di stare sul ritmo delle 3 ore ma non sono convinto. Sento le gambe stanche prima di partire, l'alimentazione non è stata ideale, la vigilia faticosa e poi...c'è una bella sorpresa.
In questo fiume di podisti sono goccia che mi lascio trascinare nei primi km che sono in decisa discesa, si tratta di un declivio strano, preoccupante, nei primi 4 km abbiamo cambiato almeno 10 volte, UP AND DOWN. La media è buona ma se questa è la parte facile in discesa qui si mette male inizio a pensare. Il fiume continua a scorrere al mio fianco, lo sento scorrere, lo vedo scorrere nel senso che tutti mi sorpassano, ma dove vanno, se la godono troppo adesso o sono io che oggi non ho capito nulla?
I cartelli si succedono con eccessiva frequenza, vengono misurate le miglia e i km, non ci capisco un'acca. La sola circostanza che mi si rende evidente è che non è proprio giornata. Al 7° km un'improvvisa impennata, le mie gambe si rifiutano il cambio, non sono allenate per questo; la mia caratteristica è la regolarità. In queste condizioni bisogna limitare i danni, depongo ogni velleità e mi concentro solo sul fatto di volermi godere le sensazioni che vengono dagli incitamenti, il risultato non conta più. Fossi stato in qualsiasi altro posto mi sarei ritirato forse, ma qui non si può, questa non è una maratona questa è LA MARATONA.
Dai lati della strada odo incitamenti continui. GO ANTONIO, VAI ITALIA, ANDIAMO ANTONIO, FORZA. La mia maglia personalizzata attira l'attenzione e la bandiera tricolore fa il resto, cerco di raccogliere queste energie per tirarmi su ma non ho la forza di rispondere, ci sono decine e decine di bambini che chiedono il cinque. Rispondo solo ad alcuni, mi chiudo nella "mia disperazione", bando ad ogni ipocrisia, sto soffrendo altro che chiacchere.
Non c'è un attimo di respiro, su e giù, neppure un km di piano per andare regolari, il serpentone è qualcosa di stupendo ma anche di inquietante quando lo vedi inerpicarsi su per le salitelle, dolce quando lo vedi svanire, segno della presenza di una discesa. Al ventesimo km si sentono delle grida, tantissime ragazze ai lati della strada espongono cartelli con la scritta KISS ME, implorano un bacio; rimango sbigottito. Molti dei miei amici ne approfittano e io non mi faccio pregare, mi fermo un attimo scelgo prima una bella bionda poi una bruna e fiondo due splendidi baci. Si tratta di uno dei pochi momenti nei quali il sorriso si è stagliato sul mio viso. passaggio alla mezza in 1.31. Il rallentamento sembra lento, progressivo e gestibile ma io sono conscio che invece sarà inesorabile.
Scorrono le miglia, i km sono indicati molto di rado ormai, meglio così saranno di meno. Attendo con impazienza il ventesimo miglio, lì ci sarà la famosa Heartbreak Hill ad attenderci, tante volte l'ho sentita nominare. Sarà che ormai sono al di là di ogni limite, le gambe vanno sole. Ci incitano, GOOD JOB ANTONIO, e allora completiamo questa opera. la mia corsa diventa un viaggio tra Boston e il Parco del Cormor. Mi mancano 6 miglia, 6 giri del parco lì almeno non ci sono salite. Immagino la compagnia degli amici di tanti allenamenti, ritrovo al fianco podisti che riescono a spingere più di me, altri che sono distrutti, la collina spaccacuori ha fatto le sue vittime, ci è cascato pure Gelindo Bordin che mi era partito davanti e poi è rimasto di molto dietro.
Giungiamo sulle strade che annunciano la fine dell'impresa, le ho percorse nei giorni precedenti, le ultime due miglia le ho studiate, non ho pietà per le mie gambe. Invoco uno scatto d'orgoglio, riesco a percorrere nuovamente 3 km a ritmi decenti, viaggio in uno stato di "pseudotrans", sento ANTONIO, ITALIA, ITALIA, ANTONIO, GO, VAI.
Non ci fanno mancare nulla, neanche un sottovia, curva a destra, salitella, curva a sinistra ed è rettilineo finale. Lì di fronte la finish line, apoteosi di questa impresa, fine della sofferenza, coronamento di un sogno che assaporerò nei prossimi giorni, nei prossimi mesi forse.
Promessa di poterla rivedere questa finish line, promessa di ritornare per onorare al meglio, meglio di oggi la Boston Marathon. Non riesco a sorridere neppure sul traguardo, sono sfinito.
E' stata una maratona vera, la più dura che abbia mai affrontato.
3 ore 9 minuti e 29 secondi.
Numeri che non hanno senso ma numeri che mi ricordano che è stata la peggior gara degli ultimi 12 anni. La più sofferta, una sola certezza: non si tratta di una resa, è stata una sconfitta onorevole, a testa alta.
Cadere per rialzarsi e riprendere ad apprezzare la gioia di averlo fatto.
La medaglia è comunque un premio meritato e le decine e decine di CONGRATULATIONS che ricevo mi rendono certo che questi americani sono proprio speciali. Ti toccano per farti sentire eroe, ti chiedono persino l'autografo, chiedono una foto come farebbero con il loro idolo dei Red Sox o dei Boston Celtics.
Boston arrivederci...tienimi un posto in prima fila, ci ritornerò.