21^ VENICEMARATHON
Stra-Venezia 22.10.2006
Nel 1994 giunsi a Stra per iniziare la mia prima maratona, ero inesperto sebbene avessi già corso da perfetto scellerato come gara d’esordio la 100 km del Passatore.Fu un disastro dal punto di vista cronometrico (quasi 4 ore) ma fu l’inizio di una grande passione che non si è esaurita con il passare degli anni né si smentisce di darmi nuove sensazioni ogni volta.Questa del 22.10.2006 è la mia 135^, sarà una esperienza diversa ma comunque da mettere nell’album dei ricordi.Se fosse possibile dall’album dei ricordi eliminerei invece le brutte impressioni ricavate nell’ora che va dal momento in cui siamo scesi dall’autobus che ci ha portato da Venezia a Stra e lo sparo che dà il via alla gara. Tanti cambiamenti nella parte organizzativa che si sono rivelati disastrosi per tutti i podisti e vantaggiosi penso per nessuno.Lo spostamento della partenza di alcune centinaia di metri ha creato problemi inenarrabile per la consegna delle sacche, centinaia e centinai di podisti incanalati in una strettissima strada nella quale erano parcheggiati i camion, c’erano alcuni poveri disabili impossibilitati a muoversi, auto a chiudere il transito, insomma il caos; i bagni assolutamente scarsi per “soddisfare” le esigenze di 7000 podisti, gli spogliatoi piccoli, senza panche e con il pavimento ridotto in pantano dalla pioggerella caduta qualche ora prima.Da dimenticare insomma tutto questo e correre subito ai ripari senza attendere il prossimo anno perché come ha evidenziato il calo delle iscrizioni in un’altra blasonata fra le maratone italiane gli errori si pagano.Il percorso rimane fra i più affascinanti al mondo, il pubblico abbastanza numeroso anche se quest’anno meno caloroso, le band lungo la strada allietano e danno senso di partecipazione, i ponti donano quello che altre maratone non possono dare e poi quest’anno anche un accenno di acqua alta.
Avevo preannunciato di accompagnare la mia allieva e amica Monica nella maratona di Venezia a battere il suo record stabilito lo scorso anno all’esordio sempre a Venezia (3:21’06’’), il proposito era di viaggiare sul piede di 3:18-3:19.Sapevo che oltre a lei avrei avuto al fianco anche altri tre o quattro amici del parco del Cormor dove mi alleno quotidianamente, pensavo che tutto sarebbe stato semplice da affrontare per le mie gambe e per la mia testa.Invece ho scoperto che un conto è fare il pace-maker ufficiale al quale viene affidato il compito di condurre un gruppo ad un certo ritmo, di confortare, di incoraggiare ma in fin dei conti se qualcuno “si perde” per strada non può diventare un cruccio; accompagnare degli amici per fargli fare il proprio personal best è un’altra storia, accompagnare degli amici su ritmi mai provati ti dà un senso di responsabilità che rischia di diventare pesante.Conferma di questo è stata la nottata di sabato scorso, trascorsa tra un risveglio e l’altro nell’attesa dell’evento e nell’incertezza che non andasse tutto come doveva.Sull’autobus che ci porta a Stra annuncio agli amici che il mio stato d’animo è strano, non sento la gara, che se potessi ne farei a meno, non mi è quasi mai successo questo.L’avvio è amorfo, ho in testa ciò che devo fare, corro mnemonicamente, punto a recuperare al più presto il ritardo accumulato in partenza, al più presto ma con regolarità; il ritmo è 5-6’’ più veloce di quello promesso, siamo un bel gruppo di amici, ogni tanto mi guardano allo split, mi guardano ma non parlano, mi auguro che sia un segno di fiducia.Ho mentito quando ho detto 3:19’, so che Monica può fare 3:17’, sono solo 3 secondi al km, un’inezia ma bisogna grattare km per km.Ho brutte sensazioni, il tendine mi fa male, il ritmo “troppo lento” mi disturba, cerco di trovare momenti positivi quando corro a prendere i ristori.Al passaggio della mezza, stoppo il cronometro sul tempo di 1:38’02’’, sono soddisfatto, Monica mi guarda nel suo sguardo leggo esplicitamente: “che cavolo stiamo facendo, abbiamo sbagliato tutto ed ora cosa accadrà”. La vedo preoccupata, la stanchezza si fa sentire; lo scenario non è dei migliori, Marghera è una desolazione, per fortuna da lì a poco l’ingresso in Mestre offre un tantino di entusiasmo da parte del pubblico presente.Il sottovia della stazione di Mestre miete la prima vittima nel nostro gruppetto, Fabio si stacca—in seguito attribuirà la causa ad una nostra accelerazione ma evidentemente comincia a risentire di un ritmo leggermente al di sopra delle sue possibilità, Monica e Renato tengono botta in tranquillità intanto si è unito a noi anche un amico degli organizzatori della Treviso marathon (Da Ros).Gli amici mi ricordano quando in alcune occasioni appena dopo la mezza si siano trovati a dover camminare per la crisi subentrata, io invece comincio a far di conto su quale possa essere la proiezione finale se d’ora in avanti si va a 5’ al km; ormai sono quasi certo che il record è fatto, bisogna limare secondi per renderlo ancora più “sostanzioso”.Si avvicina il Parco San Giuliano che ieri abbiamo visto quando abbiamo ritirato il pacco gara in quanto sede dell’Expo: si tratta veramente di un grandissimo parco, ben attrezzato, con viali ampi e organizzati che permettono la fruizione a ciclisti, podisti e pattinatori.Non è piatto anzi, per accedervi siamo costretti ad affrontare un cavalcavia con una buona pendenza ed anche all’interno del parco stesso ci sono dei tratti con saliscendi, ma la vista sulla laguna con un serpentone di atleti che si snoda è affascinante, sarà uno dei ricordi che conserverò a lungo.All’interno del parco è posto il cartello del 30° km, nella mia migliore previsione ci dovevamo passare in 2:20’, il mio cronometro segna 2:19’; la gara è ancora lunga ma annuncio a Renato e Monica che qualcosa di grande e di impensato può realizzarsi.Abbandoniamo il parco, ci attende la salita del ponte di San Giuliano dove ci attende un’amara sorpresa oltre la inevitabile fatica, un nostro compagno di allenamenti, Michele, ha esaurito le forze (vittima di una strategia sbagliata?), un incitamento ma non c’è tempo per attardarsi; più avanti prima di imboccare il ponte della Libertà un altro amico, Federico, viene superato dal nostro irrefrenabile trenino.Ormai mi sono animato, ora si comincia a far sul serio, finalmente sento la gara, annuncio a Renato di non scandalizzarsi se dovesse sentire qualche frase di quelle che non si dovrebbero dire.Quando la gara diventa dura la mia strategia è quella di individuare atleti che mi stanno davanti e dargli la caccia, ognuno diventa un obiettivo da raggiungere.Visto che accompagno Monica, l’obiettivo si colloca sulle atlete, ogni donna che vedo davanti la individuo con il colore della maglia e la indico alla mia allieva come target da scavalcare.Lungo il ponte non c’è un solo attimo di cedimento, il ritmo è sempre costante, dinanzi a noi vedo i capelli rossi di Elena Marighetto, la conosco, so che è un osso duro, ma è anche una amica oltre che compagna di un amico, una volta raggiunta la invito ad accodarsi, la incito.La mia frequenza cardiaca sale di almeno 10 bpm non perché corra sotto sforzo ma perché spreco tante energie a parlare, ad applaudire, ad incitare; noto qualche segno di fatica in Renato, dopotutto lui è veramente al massimo.Monica invece, testa bassa e continua a far mulinare le sue gambe, non ha neanche la forza di dire la sua solita frase: “muoio”.Subito dopo il ristoro del 39° km, annuncio ai miei amici che si può fare 3:17’ ma che bisogna tirar fuori gli attributi, inizia la teoria dei ponti, ad ognuno scandisco consigli e incitamenti, qualche parola grossa e qualche rimprovero a non mollare.Improvvisamente mi accorgo che Renato cede, non c’è tempo per recriminare, il più è fatto saprà portare a casa il suo risultato comunque; Monica invece come lo scorso anno non mostra alcun timore nei confronti dei ponti, nonostante odi le salite affronta quei pochi metri con cattiveria e la successiva discesa con aggressività, Elena resiste benissimo; diventa tra loro due una gara nella gara che so farà bene ad entrambe.I ponti diventano sempre più frequenti, il pubblico sempre più numeroso, incito Monica per nome e a voce alta, molti appassionati raccolgono l’invito ed incitano anche loro ed in genere si sa che per le donne il pubblico sia più predisposto a spendere qualche incitamento.Superiamo tantissimi podisti, viaggiamo quasi in condizione di trance atletica, contiamo i ponti mancanti quasi fossero tasselli per finire questo bellissimo puzzle che sta per completarsi.Finalmente posso gridare che siamo sull’ultimo ponte e poi è finita, mancano solo poco più di 100 metri; o guardo il cronometro lì davanti, segna 1:16’ 25’’, pochi secondi per riflettere poi indiavolato comincio ad incitare Monica a sprintare, la sprono, le indico il cronometro, le faccio intendere che si può arrivare prima che scatti il 3:17’, rallento, mi pongo al fianco le dico non so che cosa, sento lo speaker che mi riconosce e ci nomina entrambi.Transitiamo sotto il traguardo in 3:16’54’’ io esulto, si è realizzato quello che neanche io avrei sperato nella migliore delle mie ipotesi, Monica stremata fa appena un accenno a un sorriso: è distrutta.Ha realizzato un’altra grande impresa ad un anno di distanza ma chissà se mai riuscirò ad insegnarle che queste imprese vanno anche godute pubblicamente e non solo per se stessi.Il nostro amico Renato giungerà in 3:20’36’’ completamente “esaurito” tanto da non accorgersi di essere stato superato dai “palloncini” delle 3:20’, lo porteranno via in barella, ma poco dopo rimessosi può assaporare la gioia di aver stabilito anche lui il suo personale.Io in questa “giornata da mediano” raccolgo la soddisfazione di “aver visto bene le potenzialità” e di aver contribuito a tradurre la passione per la corsa di Monica che due anni fa correva la mezza in 2:05’ in un 22° posto assoluto alla maratona di Venezia.
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