A Reggio Emilia lo scorso anno raggiunsi il punto più basso dell
a parabola e conclusi la maratona solo per onor di firma: l'infortunio alla chiappa richiedeva provvedimen
ti drastici.
Lo stop, la lenta ripresa, l'alternanza della corsa con bici e nuoto mi hanno aiutato in questa risalita. Una primavera alla ricerca esclusiva del ritmo tranquillo dei 5' al km, poi qualche sollecitazione. Da settembre la consapevolezza che forse ri poteva ripensare a quello che da sempre è stato il mio obiettivo principale ogni volta che approcciavo una Maratona: scendere sotto le tre ore.
A Berlino su un percorso straordinario e agevolissimo strappo un 3:06, a Lubiana 3:05, a Valencia due settimane fa 3:01. Un miglioramento voluto, cercato con pochi allenamenti
indirizzati soprattutto alla progressione, alla tenuta della distanza.
L'allenamento più importante è stato quello interiore, quello della mente, quello del cuore.
Il cuore innanzitutto: la Maratona è il mio amore più importante (sportivamente parlando), la compagna fedele che non ho quasi mai tradito e che mi è rimasta fedele sempre. Riuscire a terminare i 42,195 km sotto le tre ore il raggiungimento del piacere più grande. L'ho voluto veramente questo traguardo senza forzare le tappe, senza fare sciocche scelte ma riprendendomelo poco alla volta, centellinando i miglioramenti.
La mente: la gara di Maratona non si inventa, ogni azzardo lo si paga caro, una partenza troppo veloce significherà sicuramente sbattere contro il muro, esaurire le forze; viceversa perdere tempo in partenza, anche pochi secondi, costringeranno a recuperi che spesso si rivelano impossibili (vedi la mia Maratona di Valencia). Gestione ragioneristica del ritmo quindi, assecondata dalla determinazione massima nel volere l'obiettivo, non un
obiettivo qualsiasi ma quello che sapevo essere alla mia portata.
Forse il destino aveva scelto, oppure il mio cuore meglio, che l'occasione giusta fosse proprio in quella Maratona italiana che più di tutte amo, della quale tante volte ho tessuto le lodi:
Reggio Emilia.Qui sono a casa mia, ci sono tanti amici, il percorso lo conosco passo dopo passo. Posso chiedere a Paolo Manelli (il Patron) il pettorale personalizzato, sò di avere tutti i servizi al massimo livello.
La vigilia della gara è segnata da una grande concentrazione, silenzio e determinazione; cerco di non sprecare alcuna energia, di massimizzare la carica agonistica senza estremizzare per non correre il rischio di far diventare questa carica tensione e rischiare di passare la notte insonne.
Ottima cena, riposo tutto sommato tranquillo e colazione come si deve (non come a Valencia).
Sulla linea di partenza incontro tanti amici, mi chiedono cosa farò: gli vendo un ritmo intorno alle 3 ore ma dentro di me sono certo che sarà SOTTO LE 3 ORE.
In tutti questi anni non ho seguito mai i pace-maker, molte volte sono stato io in quelle vesti. Mi ritrovo nel gruppone molto numerosi di quelli che seguono i palloncini delle 3 ore: ci ragiono un momento e decido di provare a starci, provare a risparmiare qualche energia mentale almeno nella prima parte. Mi lascio portare, il percorso di Reggio non è pianeggiante, è muscolare ma i pacers gestiscono molto bene bisogna riconoscere. So che nella seconda parte se mi rimarranno energie c'è da andare, si può far bene.
Ai 13 km la "salita degli zingari", la prima difficoltà superata con agilità, le gambe sono calde, corro più sciloto che nei primi 10 km; la tappa successiva è il cartello 17 di Montecavolo, lo speaker che ci accoglie, lo stesso di tanti anni, la curva a destra, il rettilineo, la signora che ci incita con il megafono: scene già viste.
Si va verso la mezza, le gambe fremono ma la mente dice:PAZIENZA.
Km 18, la strada è larga, tagliando bene le due curve si guadagnano metri, mi ritrovo in testa al gruppo, siamo già qualche secondo sotto il ritmo. I pacers lo fanno notare. Cartello 19: qui nel 1997 fui costretto al ritiro per infortunio, quando lo supero mi libero come di un incubo.
Imbavaglio per un momento la mente e lascio libero sfogo al cuore...voglio, voglio, voglio quel mio obiettivo e non intendo rischiarlo al secondo, ho bisogno di un margine e poi le gambe danno segnali molto positivi.
Il passaggio alla mezza è in 1:29'05''.
Se non succede l'irreparabile a Reggio lo split negativo lo faccio. L'obiettivo è nelle mie mani.
La mente non lavora come a Valencia in difesa: qui si attacca.
La media che mi avrebbe portato all'obiettivo era di 4'16'' al km. Dopo la mezza sfruttando anche un po' di discesa (ma si tratta sempre si saliscendi) viaggio tra 4'08' e 4'00'' al km.
Prendo fiducia, ora spingo decisamente, non sono assolutamente in difesa: attacco le salite, mi lancio nelle discese recupero amici che trovo lungo il percorso. Aspetto con impazienza quel cartello dei 31 km che segnerà la fine delle asperità: dopo sarà tutta "discesa mentale" fino al traguardo.
Per un momento mi chiedo come mai mi sto esaltando tanto per un traguardo che ho già raggiunto 118 volte, ci sono centinaia di podisti davanti a me che faranno meglio. Ma non è questo che conta: oggi ho ritrovato il feeling perfetto con la Maratona. Corro con il piacere di correre, soffro per raggiungere il traguardo ed alzare le braccia al cielo.
Guardo il crono: posso azzardare tempi ancora migliori. Faccio due conti e mi rendo conto che 2:58 è tranquillamente alla mia portata basta proseguire regolarmente.
Mi esalto. L'adrenalina moltiplica le energie residue, riesco a strappare ancora ottimi split e anche l'obiettivo 2:57 diventa mio. Entriamo nel parco, si va sullo sterrato e qui spingo ancora di più. Ormai restano poco più di 3 km. Sono due giri del Parco del Cormor dove mi alleno sempre. Ho il dovere di spremere tutto, recupero posizioni.
Al 40° km vedo Simone Grassi che al lato della strada mi fotografa, un pensiero a lui e la migliore maniera per ringraziarlo è andare ancora più forte. Guardo il tempo totale. C'è anche la possibilità di scendere sotto le 2:57' ma dovrei correre gli ultimi 2 km e 195 m a 4'al km.
E' una follia.
Ma se è una follia val la pena di lasciarsi tentare. vedo davanti a me Amedeo Bonfanti che sapevo essere in condizioni fisiche di difficoltà. Lo punto e lo raggiungo, un saluto e volare via verso la mia meta.
Spingo spingo. Split del 41° pochi secondi sopra i 4' al km.
Bisogna andare ancora più veloce. Corri Antonio che un utopico 2:56 lì davanti ma si deve andare sotto i 4, questo dice il mio cuore, la mia mente risponderebbe: ma che cazzo dici, non puoi chiedere questo alle gambe dopo 41 km.
Ma il cuore non ammette ritrosie: bisogna spendere fino all'ultima energia. Viale finale prima del rettilineo: split al 42° kmin 3'56''.
I miei muscoli sono al limite ma ho il dovere di tirare anche gli ultimi 200 m.
Lì davanti ai miei occhi il crono mi sorride, c'è Paolo Manelli (l'organizzatore) che lo guarda è mi presenta il cinque che batto con gran vigore.
Concludo la mia 180^ maratona abbondantemente sotto le 3 ore.
Il tempo ufficiale segna 2:56'50''.
Ci sarebbero dediche, ci sarebbero rivincite ma non è tempo per questo. C'è solo da godersi questa ennesima emozione e la consapevolezza che son tornato quello d'un tempo.