Sono un MAGRAIDER. Sono uno di quelli che potrà dire di esserci stato alla edizione del 2009 del MagRaid – Correndo nella steppa.Che poi sia riuscito ad arrivare in prima posizione della classifica generale è un dettaglio secondario anche se naturalmente lo conservo con grande soddisfazione.Non avevo mai partecipato ad una corsa a tappe e mi spaventava un pochino l'idea considerando che sono abituato a spremermi sempre al massimo nelle gare in cui partecipo. La tentazione alla sfida mi fu mossa qualche settimana fa da Filippo Pagavino che già si era iscritto, solo che lui aveva già fatto abbondante esperienza di corse a tappe.L'idea poi del Raid, esperienza di immersione nella natura lontano dagli agi dei villaggi turistici mi ispirava, la realtà di doversi confrontare con difficoltà impreviste mi stimolava.Cosa ispira un podista “stradaiolo” ad affrontare l'incognita della corsa in natura è una domanda complicata. Nel mio caso si tratta della esigenza di mettermi in gioco, di abbandonare almeno per un periodo la sicurezza del traguardo sicuro (in maratona minuto più, minuto meno ci arrivo al traguardo) per affrontare l'incognito, la possibilità del fallimento, la ricerca del limite, il contatto diretto con la fatica vera, il saggiare la consistenza del proprio essere limitati dinanzi all'immensità della natura che ci circonda.Molti hanno trovato queste sensazioni andando a correre nel deserto, al polo, in posti sperduti; qui in Friuli mi si presentava l'occasione di vivere le stesse esperienze al MAGRAID.Tre tappe senza riposo, in poco più di 40 ore affrontare 90 km di terreno accidentato, un ambiente ostile ma allo stesso tempo accogliente e selvaggio.Detto fatto mi sono iscritto ed ho deciso di affrontare questa corsa-gara-avventura senza alcuna preparazione, arrivando al momento della partenza con la sola forza dell'ignoranza di ciò che mi aspettava. Così fu quando affrontai la mia prima 100 km e ne rimasi affascinato, così è stato per la mia prima Sky-race così doveva essere anche per la prima corsa a tappe.Mi ero ripromesso di badare solo a cogliere il contatto con la natura, di fare il pieno di sensazioni, mi sono ritrovato dopo alcuni km in ottima posizione di classifica. Pur non facendomi condizionare troppo devo riconoscere che la mia componente agonistica ha fatto capolino e la mia avventura si è caricata anche della parte competitiva. Ne è venuto fuori un mix indimenticabile, che mi ha portato sul traguardo della terza tappa a giungere da vincitore; vincitore innanzitutto di una sfida con me stesso e solo in un secondo tempo della classifica generale.
La prima giornata ci vengono annunciati 20 km relativamente facili, un input per saggiare il terreno...un antipasto.
La partenza da San Quirino viene data alle 18 circa, ci viene chiesto di affrontare i primi km in gruppo, non è un gran sacrificio, chi è lungimirante sa che ogni energia risparmiata alla partenza sarà preziosa all'arrivo. Ci si muove dapprima su terreni sterrati, nulla di particolare poi si entra nei Magredi (che significa terre magre); si percepisce subito la durezza del percorso sia per la difficoltà di affrontare il terreno sconnesso ma soprattutto per il calore che promana il terreno, è una “vampata” che investe il corpo in alcuni punti. L'orizzonte si allontana, la vegetazione alta scompare, rimangono solo pietre e sterpi, alzando lo sguardo si possono vedere i compagni di ventura allontanarsi. Parto in tutta tranquillità sono in decima posizione; mi guardo attorno respiro i profumi, sento i suoni della natura, ma non posso evitare di vedere davanti a me coloro che mi precedono. Non sono lontani, lentamente le mie gambe mi chiedono di accelerare ma il cervello impone la tranquillità in vista della tappa dell'indomani mattina.Con un minimo di sforzo riesco comunque a recuperar terreno e quando giungo sul traguardo sono quinto a tre minuti dal primo.L'impressione di questo primo assaggio è ottima. La vita nell'accampamento scorre nella serata con un garnde interrogativo; le previsioni annunciano temporali e pessime condizioni per la notte e la mattinata di sabato.Dopo cena ci ritiriamo nelle tende, ognuno cerca a suo modo di prepararsi al tappone di 44 km che ci aspetta...anzi ci viene comunicato che per “aumentare il fascino” la distanza è stata portata a 48 km.La notte è lunga e per molti insonne; giovepluvio si scatena, tuoni, fulmini, pioggia. I cavalli dei volontari delle camicie verdi sono inquieti, chi più di loro percepisce il pericolo.Un pensiero subito viene alla mente: noi siamo qui in tenda per divertimento e per soli due giorni e soffriamo per questa temporanea difficoltà...altrove in Italia ci sono altri che vivono da mesi la stessa (anzi peggiore) realtà, non per scelta né per divertimento.Al briefing prima della partenza della seconda tappa ci viene annunciato che il percorso viene accorciato a 40 km per motivi di sicurezza;
si parte da San Giorgio della Richinvelda presso l'azienda Magredis (uno dei maggiori sponsor della manifestazione). Le condizioni meteo non sono pessime, il cielo è nuvoloso ma non minaccioso, tutto sommato meglio così rispetto ad una giornata soleggiata. Nel primo tratto abbastanza facile da correre Bonfiglio e Onori se ne vanno, alle loro spalle inseguiamo in gruppo. Si parla poco, l'amico Recchi mi è sempre al fianco, dall'altro lato Roberto Battocchio. Attraversiamo terreno infangato, sembra una campestre di pieno inverno, la prudenza ci invita a non eccedere ma la possibilità di raggiungere i battistrada ci sprona ad aumentare. E' Roberto ad incaricarsi del riaggancio, si forma un bel gruppetto. La gara vera sta per cominciare, si percorre l'argine dal basso, ci sono pozzanghere profonde, bisogna zigzagare per evitarle, correre in equilibriosu una stretta striscia di terra. Cerco di imporre il mio ritmo. Il proposito di un'avventura all'insegna del puro godimento della natura viene sopraffatto dalla voglia di correre e competere. Si entra nel letto del fiume, incredibilmente mi scopro agile, scattante, i miei passi sono felpati, un tocco e via, schizzo in avanti senza alcun problema di appoggio sul terreno sconnesso. In breve mi stacco e cerco di concentrare la mia attenzione sulla natura che mi circonda.Arriva il primo tratto di “navigazione libera”, avanti, molto lontano un pallone colorato svetta nel cielo, il nostro obiettivo è raggiungerlo, ognuno può scegliere la via che vuole. Mi entusiasma questa nuova esperienza, il mio è un alternarsi di sguardi all'orizzonte e occhiate alla terra sotto i piedi. Scelgo sempre la via più breve indipendentemente che sia la più difficoltosa; avanti a me lo squad dell'organizzazione mi precede, quello degli operatori di Sky (che lavorano per la trasmissione Icarus) spesso mi affianca.Ora sono veramente solo, immerso nella natura, un nulla che corre nell'immenso. Eppure la mia corsa è senso di libertà, libertà come l'interpretazione che do al mio avvicinamento al pallone. Si percorre un tratto di strada sterrata “camionabile”, imprimo un ritmo elevato, le gambe vanno che è una bellezza anche se è presto, molto presto, il traguardo ancora impensabile. Intorno al 25° km è posto un altro pallone, anche durante questa seconda navigazione libera mi sbizzarrisco, salto, taglio, lo squad mi affianca, il cameraman mi incita. Tutto ad un tratto vedo lo squad dell'organizzazione che si ferma, capisco che ha smarrito la strada, sono incredulo ma non arrabbiato, guardo il cronometro. Dopo 5 minuti finalmente viene fuori la soluzione, bisognava semplicemente andare dritti; intanto sono sopraggiunti altri 4 amici, ci ricomponiamo.Riprendo di nuovo un po' di vantaggio. Al 30° km entro in crisi, la vista si appanna, cerco di bere, rallento, mi fermo, mangio una barretta, bevo nuovamente. Il secondo, Marco Bonfiglio mi supera. Sono disperato, le gambe sono molli. Non mi è quasi mai successo, procedo camminando per qualche centinaio di metri, Marco si allontana, poi tento di riprendere la corsa. Riacquisto fiducia, lo svantaggio è nell'ordine dei 500 metri. Percorriamo un tratto di zona militare, ci sono continui saliscendi, pozzanghere, Marco zigzaga io a distanza cerco di scegliere la strada più breve non preoccupandomi delle buche. Un'ampia curva poi due strade convergenti che puntano allo stesso obiettivo. Ognuno sceglie la sua, alla confluenza siamo di nuovo pari.Ora la natura che ci circonda è incantevole ma anche maligna, ogni tratto di pietraia ci toglie le forze, intorno al km 37, pensando di essere vicini all'arrivo tento un forcing. Prendo un po' di vantaggio; siamo al km 40 ma ancora persi nel letto del fiume; chiedo ad uno dell'organizzazione quanto manca mi risponde con un inesorabile “11 km”. Esclamo qualcosa di irripetibile, sarebbe una vita ed io che pensavo di aver finito. La disperazione mi impone di procedere. Altro tratto di navigazione a vista, si tratta del pallone numero 5, gli squad fanno giri larghi, io procedo in linea retta. Sterpaglie, sassi, pietraie sono ostacoli ma anche alleati visto che mi permettono di incrementare il vantaggio.Finalmente giungo ad un posto di controllo dove mi viene consegnato un laccetto che testimonierà il mio passaggio; intravedo da lontano l'argine. Quando lo risalgo riconosco la strada già percorsa venerdì. Mi avvio a vincere questa seconda frazione con qualche minuto di vantaggio, taglio il traguardo a mani alzate soddisfatto della gara e dell'esperienza provata.
Nella terza tappa si parte da Zoppola, lo scenario sarà nuovamente diverso, gran parte dei quasi 20 km saranno nel letto del fiume, si alternano pietraie e tratti da guadare. Al mio fianco sin dalla partenza si pone Filippo Pagavino, facciamo ben presto il vuoto e procediamo di comune accordo ed a forte velocità.E' un vero piacere attraversare il corso del Noncello, ci inzuppiamo, saltelliamo come gazzelle, un paio di guadi vanno affrontati al passo perchè l'acqua è troppo profonda.Filippo mi dice che vorrebbe recuperare un po' di svantaggio e tentare di rientrare tra i top ten. Seppure potrei mantenermi sulle mie e controllare la classifica generale, mi metto a tirare, tento di aiutarlo nel suo tentativo. Il tempo scorre, la nostra avventura volge ormai al termine; percorriamo l'ultimo tratto di navigazione a vista, le nostre traiettorie in qualche momento divergono poi ridiventano parallele. L'obiettivo comune è di giungere soddisfatti al traguardo. Il vantaggio accumulato è enorme, risaliamo sul solito argine, avverto Filippo che tento di imprimere un'ultima scossa al ritmo per agevolare la sua rimonta, Filippo mi segue. Ad un km dalla fine mi chiede strada e gliela concedo volentieri, d'altronde non avrei né gli stimoli né le forze per reagire. Lui va a prendersi la vittoria finale di tappa e agguanta la decima posizione io mi prendo la vittoria nella classifica generale.Questa terza tappa è senz'altro la più bella delle tre, quella nella quale il contatto con i magredi è più pieno e i guadi sono molto affascinanti.Quest'avventura si conclude in con tanti festeggiamenti, premiazioni per tutti ed il precisoproposito di ritornarci il prossimo anno, tanto siamo certi che il corso del fiume sarà cambiato e nulla sarà più uguale. Vengo fuori da questa esperienza con la consapevolezza che le gare a tappe mi si addicono molto e il contatto con la natura mi carica. Inizialmente avevo pensato di dedicare questi tre giorni alla riflessione, il mio istinto competitivo non me lo ha permesso ma sono contento comunque.Un saluto è doveroso rivolgere a tutti gli amici, a coloro che hanno corso al mio fianco, a coloro che hanno pensato e organizzato l'evento, a tutti i collaborati, a tutti coloro i quali si sono prodigati per la nostra sicurezza, agli operatori con le telecamere. La vita nel campo è stata una splendida esperienza. Alla prossima.