Nessuno può sentirsi sicuro di vincere, al momento di partire. Non si può star certi nemmeno di arrivare fino in fondo. La maratona è l'unica gara che si può perdere anche correndo da soli.

Perle di saggezza

Se vuoi correre, corri un miglio. Se vuoi conoscere una nuova
vita, corri la Maratona!


Emil Zatopek (citazione segnalatami da Giovanni Chessa)

Me medesimo in numeri

213 MARATONE corse



PB 2:36'28'' 08.10.2000 GoldMarathon Cesano Boscone (MI)







un centinaio di MEZZE corse



PB 1:13'09'' 01.10.2000 Udine







cinque 6 ORE




PB 73,096 km (Buttrio 2014)







cinque 100 km (4 Passatore)



PB 8:51'28'' giugno 2005 in pista Fagagna (UD)



PB Passatore 9:09' 2004 Firenze-Faenza







una 12 ORE



PB 119,571 km
31-08-2014 Passons (UD)







3000



PB 9'39'' San Vito al Tagliamento (PN)







5000



PB 16'27''







10000



PB 35' 36''







3 VOLTE IRONMAN FINISHER






lunedì 17 dicembre 2007

Maratona di New York 2005

“Italia”, vuoi lo sprint? Beccatelo! La mia prima partecipazione alla New York City Marathon risale al 1997: allora ero un podista ancora inesperto, seppur con diverse prove sui 42 km alle spalle, e la maratona della grande mela era il coronamento di un sogno; tutto fu incredibilmente nuovo, grande, impareggiabile rispetto alle altre gare corse in giro per l’Italia. Ora dopo anni di maratone (a NY ho corso la mia 120^, 17^ del 2005), pensavo che l’approccio all’evento e l’atmosfera della vacanza statunitense assumessero una veste diversa ed invece…La NYC Marathon la si comincia a vivere mesi prima, dal momento in cui si decide di parteciparvi (e bisogna farlo per tempo, vista l’enorme richiesta che viene da tutti i paesi del mondo), i mesi di attesa ed in particolare gli ultimi giorni sono un montare di tensione, l’eccitazione che sale, la certezza che si stia per prender parte ad un grande evento. La NYC Marathon è la preparazione degli ultimi giorni; è il viaggio con i tanti amici che partono dall’Italia (quest’anno eravamo in piu’ di 3000 podisti iscritti alla gara, oltre agli accompagnatori, fra i quali voglio citare 5 amici udinesi frequentatori del Parco del Cormor con i quali ho condiviso il viaggio di andata: Alessandro Venica, Massimo De Mitri, Giovanni Fattori, Luca Mattioli e Roberto Secco). E’ anche conoscere le sensazioni dei tanti che si accingono per la prima volta nella loro vita ad affrontare una grande maratona, oppure di quelli che stanno per esordire sulla distanza dei 42 km, che ti fanno le domande impossibili; è l’avventura dell’aspirante podista che ha provato si e no “l’oretta” di corsa e vuole cimentarsi nella grande avventura.La NYC Marathon non comincia alle 10.10 della prima domenica di novembre, inizia il primo giorno a NY, quando è d’uopo recarsi in Central Park per la sgambata con gli amici: venerdì mattina alle otto, appuntamento all’angolo del Columbus Circle per correre assieme, come se ci si accordasse per una qualunque uscita infrasettimanale con gli amici.Capita invece di trovare amici italiani che non si vedevano da tempo, capita che colei con la quale avevi preso appuntamento non venga perché “in altre faccende affaccendata”, capita che ti ritrovi a correre accanto a Laura Fogli e Gianni Morandi, o insieme a Serena Razzolini, la vivace podista fiorentina che anima con la sua voglia di vivere tante corse italiane nelle retrovie.La NYC Marathon è partecipare alla Continental Airlines International Friendship Run di sabato mattina, la corsa dell’amicizia che - partendo dal palazzo dell’ONU - giunge sino al Central Park e mette assieme maratoneti e no, tutti a condividere la gioia di urlare il proprio saluto all’annuncio del paese di provenienza; cercare di battere olandesi e francesi è praticamente impossibile, sia nell’urlo che nel colore che riescono a dare alla manifestazione.Poi viene la giornata di domenica, quella della gara: il trasferimento dagli alberghi sin giù a Staten Island, nei pressi del ponte di Verrazzano, ha dell’incredibile; pensare che 40.000 persone vengano contemporaneamente prelevate e scaricate nello stesso luogo alla stessa ora senza che succedano grossi ingorghi mi lascia ammirato. Basta metter piede giù dall’autobus e l’accoglienza dei volontari è festosa, c’erano tantissime ragazze siatiche ad elargire sorrisi e incoraggiamenti, a complimentarsi ancora prima di cominciare la gara.La vera differenza fra New York e le altre maratone è che qui tutti, veramente tutti i newyorkesi (tranne poche eccezioni di cui accennerò dopo) vogliono essere parte dell’evento: chi non può correre perché non è in grado di sostenere la fatica oppure non è riuscito ad ottenere il pettorale si inventa un modo per dire di aver contribuito alla festa.La zona di sosta in attesa dell’ingresso elle gabbie è vastissima, e già suddivisa in tre grandi zone nelle quali sono posti i podisti con i diversi colori di pettorale. Non sono delle zone chiuse, si può tranquillamente girare alla ricerca degli amici, anche se si tratta della classica ricerca dell’ago nel pagliaio… uno su 40000 ce la fa, si potrebbe dire.La sveglia di buon’ora rende indispensabili operazioni che in altre maratone si svolgerebbero con maggiore tranquillità in albergo o a casa. Ci sono a disposizione alimenti solidi e liquidi caldi e freddi per ogni esigenza, persino troppi direi, tanto che a mio avviso molti di noi hanno pagato lo scotto di aver esagerato lungo la gara. I bagni chimici sono numerosissimi, le file accettabilissime rispetto a quelle che si vedono nelle maratone nostrane quando, impotenti e insofferenti delle lunghe attese ci concediamo i nostri piaceri “rusticamente”.Il tempo da trascorrere è abbondantissimo e per chi ne ha voglia c’è modo anche di ascoltare la funzione religiosa, per gli altri la scelta cade o su un salutare riposo in attesa della fatica o girovagare alla ricerca dell’amico perduto.Il posizionamento nelle gabbie e l’intradamento verso la linea dello start avviene in modo abbastanza ordinato, almeno per le prime file, dove inflessibili volontari e militari bulldozer vigilano con occhio cattivo e atteggiamenti alteri che scatenano l’ilarità di molti.La partenza delle donne top viene anticipata alle 9.35, mentre tutti gli altri attendono pazientemente le 10.10, quando un colpo di cannone - dopo l’inevitabile inno americano - libera le energie di 80.000 gambe.Sul ponte di Verrazzano vi sono tre grandi fiumi di maratoneti: sulla destra i top runners uomini e quelli col pettorale blu, sulla corsia sinistra le donne e i pettorali arancione, nel piano sottostante del ponte i pettorali verdi. Lo scalpitare di tanti podisti produce un suono delizioso, sembra di sentire vibrare il ponte, è difficile non farsi prendere dall’entusiasmo, e si rischia di partire in quarta pur essendo in salita.Mi guardo bene dal commettere quest’errore, tant’è vero che mi superano in tanti, tanti di quelli che teoricamente mi dovrebbero stare dietro, li saluto e non mi preoccupo; corro volgendo lo sguardo a sinistra sulla corsia delle donzelle partite qualche centinaio di metri più avanti.Scorgo tante amiche che saluto a gran voce: Gabriella Bandelli, signora triestina conosciuta in aereo che concluderà in 3:23’, le podiste dei teenagers Staranzano, Marilena Dall’Anese, che concluderà la sua ennesima splendida maratona in 3:13’ netti e che ha stampato in fronte il simbolo del tricolore; poco prima che le strade si dividano individuo in lontananza la sagoma filiforme della bionda Valentina Gualandi, ma è distante ed il mio incitamento non la raggiunge; ma produrrà comunque il suo effetto (almeno mi illudo che abbia contribuito) facendole segnare uno splendido primato personale di 3:06’; nel piano sottostante sta “faticando” l’altra amica triestina Patrizia La Bella, conosciuta nel viaggio aereo.Il grande fiume umano si divide in tre rami che si ricongiungeranno fra alcune miglia in pieno quartiere di Brooklin.Al secondo miglio quando il mio ritmo si assesta sui 4’ al km affianco un ragazzo americano che ha stampato sulla sua maglia bianca sia anteriormente che posteriormente un grande faccione sorridente con la scritta JIMBO. E’ lui il partecipante medio della maratona di New York (non intendo come ritmo di gara, ma come approccio alla stessa).JIMBO corre forte in partenza, corre e saluta tutti i numerosi spettatori assiepati lungo le strade dei quartieri latinoamericani; tutti incitano JIMBO, ne urlano il suo nome e lui li gratifica prendendo tutto ciò che gli viene offerto: prende caramelle dalle mani di simpatici ragazzini di ogni nazionalità he gioiscono per questo; JIMBO raccoglie i fogli di carta Scottex che gli vengono porti e si deterge il sudore; zigzaga da una parte all’altra per non perdere nessuna occasione di festa. E’ talmente preso dall’euforia di “dare il cinque” a tutti i bambini con la palma tesa che ad un certo punto non si accorge che uno di questi regge un bicchiere trasparente di acqua e, scambiando la mano tesa come segno di saluto, gli rovescia sul viso tutto il liquido; il bambino comunque esulta.Raggiungiamo il quartiere ebraico, improvvisamente l’ambiente cambia, l’entusiasmo cessa, i pochissimi presenti sono assolutamente restii a degnarci di una minima considerazione, sembrano dire: “non illudetevi, noi siamo qui e lo saremmo stati anche se voi non foste passati”. Questa atmosfera surreale dura meno di un miglio, poi si rientra nel vivo dell’entusiasmo.Transitiamo io e JIMBO alla mezza maratona sul ponte di Pulaski in 1:24’ in perfetta media di 4’ al km; ricordo dalla precedente partecipazione che ora verranno i tratti più duri, sarà difficile tenere costante il ritmo da qui in avanti. A complicare la condotta di gara arriva il benedetto Queensboro Bridge - lungo quasi un miglio -, che ha una strana particolarità: ogni ponte dovrebbe avere una salita e poi la successiva discesa, qui sembra che si salga continuamente ed è interminabile, si tratta secondo me del miglio più lungo e più brutto della NYC Marathon.Per fortuna nell’ultimo tratto si comincia ad avvertire il brusio della folla che ci attende al termine del Queensboro Bridge, una svolta a “U” e si entra in un tratto dove il tifo è da stadio, in particolare per gli italiani; ed in questo tratto colgo l’incitamento ad personam che mi viene rivolto da due amici. Inutile dire che si tratta di iniezione di energie preziose, utili per riprendere il ritmo dopo la grave difficoltà. Si rientra in Manhattan, affrontiamo la lunghissima 1^ Avenue: 4 miglia di strada larghissima con la folla assiepata ai lati che incita in modo assordante utilizzando tutti i mezzi a disposizione; è impossibile rallentare. JIMBO ormai non è più alle mie spalle, la sua benzina è terminata, ha fatto il pieno di divertimento nella prima parte ed ora si trascina mestamente, nel finale lo rincontrerò scoprendo che la sua grande fatica è terminata in oltre 4 ore 20’.Improvvisamente, dopo il 18° miglio una strana sensazione mi coglie, sento nel mio intestino gorgogli sospetti, la colazione anomala, il fatto di poter usufruire di ristori ogni miglio, la giornata calda mi hanno giocato brutti scherzi: non sono in aperta campagna ma sulla 1^ Avenue, che fare?In lontananza vedo dei bagni chimici: sarà un miraggio o la fortuna che oggi mi vuole bene?Taglio in obliquo approfittando di un varco nel muro umano che costeggia la carreggiata: il mio pit-stop improvviso ma inevitabile mi costerà 2 minuti e mezzo, ma mi alleggerisce di molti pensieri.Naturalmente riprendendo a correre mi tocca risuperare amici che avevo già visto, ma il recupero di posizioni mi stimola e da qui alla fine sarà si sofferenza ma anche stimolo a finire in crescendo.Intorno al 20° miglio si entra per un breve tratto nel Bronx: si tratta di un passaggio tutto sommato superfluo, non c’è nulla che meriti di essere goduto. Svolta a sinistra e si imbocca la Fifth Avenue, la celebre quinta strada che nel suo prosieguo è la sede dei più famosi negozi di moda del mondo.Un cartello coglie la mia attenzione, sopra vi è scritta una frase che ogni maratoneta dovrebbe tenere impressa per sempre nella sua testa: “20 miles with legs, 6,2 with heart” (20 miglia con le gambe, 6.2 col cuore), ed è il cuore che metto in questo tratto, lancio la mia sfida ad un italiano che mi ha superato, lui indossa la maglia con la scritta Italia di una nota agenzia di viaggi, si prende un sacco di applausi, fra di noi è un continuo superarsi, nessuno dei due vuole cedere.Entriamo in Central Park, al 24° miglio. “Italia” mi ha distanziato di qualche decina di metri, ma sfidandolo sul terreno a me meno congeniale lungo le salitelle del Central Park gli recupero metri su metri. Lo raggiungo, lo guardo come per dire “andiamo insieme all’arrivo”, per risposta ricevo un attacco convinto, uno strappo che mi lascia di nuovo al palo.Ai lati della strada c’è qualcuno che mi incita: si tratta di Stefano, che aspetta la brava compagna Sabrina. Cerco di utilizzare lo stimolo per riprendere “Italia”; è dura, ma sul 25° miglio gli sono di nuovo a fianco, lo guardo di nuovo ma stavolta è per fargli capire che se ne ha le forze ora dovrà seguirmi lui. Il mio ultimo miglio è da ricordare: fra i più veloci di tutta la gara, il falsopiano degli ultimi 400 m non lo avverto neanche. Taglio il traguardo a braccia alzate al termine di uno sprint prolungato a sfidare il cronometro che inesorabilmente corre veloce verso lo scoccare del minuto successivo: tempo finale 2:52’55’’ in 331^ posizione assoluta, 55° dei 3061 italiani che hanno tagliato il traguardo.La festa continua lungo il tragitto che ci porta al recupero delle sacche, c’è modo di ricevere innumerevoli complimenti dai numerosi addetti ai ristori, festeggiare con coloro che hanno concluso la fatica insieme a me. Dopo essermi rivestito e rifocillato c’è modo di salutare tanti, tantissimi amici alcuni soddisfatti della prestazione altri meno, come Gianni Panfili, amico del Parco del Cormor deluso del crono (2:59’), tutti comunque felici di essere stati parte di questa bella avventura.Alcune note sulla parte organizzativa.Ottima ubicazione dell’Expo, distribuzione dei pettorali perfetta, chiusura del traffico totale… è inutile che mi dilunghi, tutto molto bene tranne forse la zona del ritrovo con i parenti, le grandi dimensioni di Central Park forse consentirebbero un migliore servizio; se Berlino riesce ad offrire le docce con le stesse dimensioni di partecipazione, perché la NYC Marathon non può farlo?A pensarci bene, il calore umano che offre la maratona della grande mela è diffide trovarlo in altre 42 km ed io sono felice di averne raccolto a piene mani.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao antonio.
letto il tuo post rispondo!
Sarò in friuli dagli suoceri dal 27 al 01 gennaio, ma il 31 farò un salto a Calderara....
poi mi dai lezioni sul blog ..vedo che sei più bravo di me a inserire foto ecc. ecc.
o forse gli dedichi più tempo di me....
Ciao Giorgio

Anonimo ha detto...

non è che sia più bravo, mi piace quest'idea ed ho la fortuna di poterci dedicare qualche ora.
quando tu verrai in Friuli io starò per partire per il Salento ma fatti sentire.
ciao